“Io non sono qui”, capitolo I

2017. Avevo appena vinto una borsa di dottorato in Architettura e dovevo capire su cosa avrei voluto fare ricerca per i tre successivi anni della mia vita. Sul piatto avevo messo un sacco di temi fighi e trendy della mia disciplina ma più li guardavo più mi rendevo conto che con me, quella roba, non c’entrava proprio niente.

Stavo in un momento parecchio travagliato, l’ansia di dover trovare un briciolo di senso al mio minuscolo contributo a quel carrozzone del Sapere Collettivo me se magnava. Trovare quella fantomatica “domanda” da cui la ricerca della risposta doveva partire sembrava una cosa impossibile.

Finché arrivò un giorno di particolare arrovellamento di viscere che culminò con quello che fu quasi un grido di disperazione: “MA PER QUALE CAZZO DI MOTIVO?!”.
Tutto qua. Il contenitore puro di un quesito privo di contenuto. Il mio ritratto.
Quella frase ha avuto il potere di sbloccare tutto, quel “cazzo” ha cambiato tutto.

Quel “cazzo” mi ha fatto capire in un istante che la ricerca non sarebbe mai emersa da quella parte di me serena e pacificata, dentro la quale fino a quel momento avevo guardato.
La benzina da cui dovevo attingere energia era piuttosto la rabbia e il motore che dovevo avviare era soltanto uno, la polemica. Perché, e lo voglio dire, la Ricerca è una guerra.
Nella polemica, quella bella e fatta bene, io ci sono nata, io ci sguazzo giuliva e mi riesce benissimo perché ho imparato da tre campioni, i miei genitori e mia sorella minore (magistra vitae).

Feci carta straccia di tutti quegli argomenti fancy e supercute che avevo accatastato e mi gettai a capofitto nell’unica cosa che sapevo avrebbe funzionato: scavare nel torbido, mio e della mia disciplina.
Sapevo, a quel punto, che dovevo andare allo scontro, anche se non sapevo ancora con chi o con cosa.

C’ho messo tutta la azzima di cui ero capace. Dovevo andare là a cercare la mia ricerca, in quei luoghi dove le cose si stavano mettendo malissimo. Ho incontrato ogni atrocità e delitto.

Alla fine in quel luogo però ci sono arrivata, era un Campo Profughi.

E non ho trovato nessuna domanda ad aspettarmi davanti a quel cancello.
Io non avevo nessun dubbio davanti a quel cancello, sapevo esattamente cosa dovevo fare.

Dovevo demolire il Campo, con ogni mezzo culturalmente possibile.

Scrissi la tesi, finalmente.

Oggi, dopo un anno e mezzo da quando l’ho difesa, la disegno.

Ne è venuto fuori una specie di esperimento che non è proprio un fumetto. Sembra più una voce che parla attorno alla quale “succedono delle cose”. Io non disegno da tantissimo tempo e non ho ancora capito esattamente cosa so disegnare e cosa ancora no, non so prevedere che disegni verranno fuori, ma se all’epoca invece di scriverla la tesi mi avessero permesso di disegnarla forse sarebbe stata qualcosa di simile a questo.

Questo che segue è il primo episodio, non so quando ma ne verranno altri.

Ciao.

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